Sì, è possibile che entro il 2029 la tua azienda debba mettersi in regola con la sostenibilità ambientale stilando il fatidico report di sostenibilità (e le azioni ad esso connesse).
Di ecosostenibilità, reportistica, ambiente se ne parla ormai da anni e vengono generate novità più o meno importanti ogni giorno.
E, forse, bene così visto gli indicatori della crisi climatica ci stanno puntando il dito contro: parliamo dell’ultima estate, quella più calda mai registrata? O degli eventi meteo estremi?
L’IPCC (Panel scientifico dell’ONU sul cambiamento climatico), qualche anno fa, ha stilato un report che mostra il futuro spaventoso a cui stiamo andando incontro.
La speranza? Limitare l’innalzamento della temperatura a +1,5°C.
Sì, sono informazioni ormai risapute e quasi datate, ma rimangono costantemente attuali.
L’Unione Europea, in risposta ha confezionato la “Corporate sustainability due diligence directive” (Csddd), la direttiva (Ue) 2024/1760 del 13 giugno 2024 che impone agli stati membri procedure regolamentate in materia di sostenibilità ambientale.
Questo è un articolo della serie “Fatti una domanda e datti una risposta” nella quale trattiamo, attraverso domande introspettive per la tua Azienda, temi che riguardano le disruption di questo tempo: dalla IA, alle nuove generazioni, dalla sostenibilità (ambientale, sociale, digitale) al fare “buona impresa”, dalla rivoluzione dei valori alla ricerca dell’identità aziendale.
Pront* a partire?!
Cosa dice la “Corporate sustainability due diligence directive”sul report di sostenibilità?
Beh, sappi che non si tratta di stilare un semplice report di sostenibilità annuale.
La CSDD riporta nel suo testo gli obblighi di legge a cui devono attenersi le aziende (non tutte) in materia di sostenibilità ambientale, sociale e di governance rendendole di fatto responsabili degli impatti negativi, o potenzialmente tali, negli ambiti dell’ambiente e dei diritti umani.
Un bel carico da 90…
Ma non finisce qui: le aziende saranno chiamate a garantire anche la trasparenza di tutta la catena del valore delle aziende della filiera e delle loro filiali.
Questa ultima specifica amplia potenzialmente a tutte le aziende la necessità di provare, a loro volta, la conformità basilare e, ovviamente non obbligatoria, alla direttiva.
Pena? La probabile esclusione dalla catena di valore.
Acci…
Da quando entra in atto l’obbligo di “sostenibilità e report”? E a quali aziende è rivolto?
L’applicazione di questa direttiva UE varrà per tutte le aziende operanti negli stati membri e sarà introdotta a scaglioni e con target “decrescente”:
- Si parte dal 26 luglio 2027 per le imprese con più di 5000 dipendenti e un fatturato superiore ai 1500 milioni di euro.
- Dopodiché tocca, dal 26 luglio 2028 alle imprese con più di 3000 dipendenti e fatturato superiore ai 900 milioni di euro.
- Dal 26 luglio 2029 è la volta di tutte le imprese con oltre 1000 dipendenti e un fatturato superiore a 450 milioni di euro.
Chiaramente le micro imprese e le PMI è improbabile che vengano coinvolte da questi obblighi (ma attenzione che ci sono dei casi specifici!).
D’altra parte, questa situazione può riguardare un po’ tutti, proprio per quel “related to their value chain(s)” ricorrente nel testo.
Attenzione alla catena di produzione: sia che sia tua o che tu ne sia fornitore esterno.
Se una azienda ha una catena di produzione che prevede in un qualsiasi segmento l’intervento di un’altra azienda per la fornitura di prodotti e/o servizi, anche quest’a’ultima dovrà provare di essere in linea con la nuova diligence e quindi, con alcuni dei tratti della CSDD.
Vien da sé che l’azienda che gestisce la fornitura può decidere di dare prova e di rispettare i parametri richiesti oppure di no (e qui la prova è proprio il report di sostenibilità).
Ma a questo punto c’è da chiedersi: quale azienda garantirebbe per un fornitore di cui non conosce l’impegno su diritti umani e ambiente? E, ancora più brutale, quale azienda rischierebbe di non essere conforme alla direttiva UE a causa di una falla nella catena di valore?
Probabilmente quindi, l’azienda fornitrice verrà allontana dalla filiera, perdendo il fatturato per quella fornitura.
Ecco quindi che, se lavori con grandi aziende, il tuo fatturato rischia un momento di smottamento ed appare necessario quindi, a piccoli passi, iniziare prendere coscienza di questa parte sempre più fondamentale del “fare impresa” e iniziare a rendersi conformi con alla direttiva UE e agli obiettivi ONU 2023.
È tosta, ma abbiamo l’opportunità di andare a piccoli passi, iniziando a fare investimenti ridotti, in modo da portarci avanti per un futuro in cui, molto probabilmente, tutte le azienda saranno chiamate a fornire report e dati per essere conformi a una direttiva o a una normativa.
Ma ha senso arrivare ad avere un obbligo alle calcagna?
Ora, immagina…
La tua azienda è un punto di riferimento per la moda fin dai primi del ‘900. La storicità è seconda solo alla qualità delle tue creazioni.
Le cose vanno per il meglio: l’azienda guadagna, c’è richiesta per i tuoi prodotti, ma senti che vuoi di più.
Senti che il successo mondiale, il valore economico della tua azienda e il tuo portafoglio non ti gratifica abbastanza. Sì, è grazie alla tua azienda se molte persone possono vivere tranquille, ed è sempre grazie alla tua azienda se la visione di moda di lusso che avevi è ora diffusa ovunque, però… C’è sempre un vuoto…
Ed ecco… la disruption!
Un’idea semplice: condividere la fortuna dall’azienda con le persone del territorio in cui c’è la sede.
Inizi piantando un albero in un’area montuosa impoverita nella zona in cui hai aperto il tuo business e ti ritrovi in una riserva naturale da 100km2 con più di 500.000 alberi piantati: la ricchezza della tua azienda è ora valore reale anche per i tuoi concittadini, per l’ambiente e per la biodiversità.
Il territorio stesso, quello utilizzato per ospitare i tuoi stabilimenti diventa un lascito sconfinato per le nuove generazioni e una cultura dell’ambiente degna di nota.
Negli anni continui a portare avanti la tua visione aziendale e di sostenibilità, portando valore e benefici a cascata per tutti.
Quando arrivano gli obblighi di legge che coinvolgono anche la tua azienda, il più è fatto: basta solo rendicontarlo. Ma questo è anche un assist per continuare.
La produzione tessile si sposta verso materie prime naturali, di altissima qualità e certificate sostenibili, riduci le emissioni di carbonio raggiungendo l’obiettivo 2025 di decarbonizzazione.
Devi comunicare e fare tutto per bene.
La tua riserva naturale è il fiore all’occhiello di tutto il tuo operato.
Il report di sostenibilità diventa lo strumento principale per raccontare la tua visione agli stakeholders e per dare la riprova che non sono solo parole: le azioni generano impatto, e l’impatto deve essere misurato.
Pensi poi che unire la visione sostenibile al lusso dei tuoi prodotti, possa essere un modo per veicolare un messaggio molto forte: si può avere il lusso, ma si dovrebbe esigere il lusso responsabile.
Sai bene che il fast-fashion è un problema che genera una quantità indicibile di sprechi e in molti casi è anche un’emergenza sociale e sanitaria che viola i diritti umani: il lusso (la tua mission) che vuoi è quello sostenibile (il tuo valore fondante) e questo necessariamente passa attraverso la qualità delle materie prime e la durabilità dei tuoi capi nel tempo.
Le tue campagne pubblicitarie uniscono quindi il concetto di natura, di qualità, di lusso, con un occhio di riguardo al nostro ambiente.
Non solo una questione di profitti…
Tutta questa storia non è “solo una questione di profitti”.
La condivisione di “ciò che hai” con “chi ti ha dato le risorse per poterlo ottenere” è un qualcosa di prezioso e raro a prescindere dal “quanto hai”.
Un albero, oggi, nel 2024, partendo romanticamente da un seme, costa tra i 50centesimi e l’euro. Potenzialmente chiunque potrebbe piantare un albero da qualche parte.
Il punto qui è la percezione che si ha di chi, da un alberello, arriva ad avere un’oasi fruibile da tutti, turisti, animali, residenti compresi.
Come avrai già capito, anche questa storia, per quanto fiabesca, non è inventata: la riserva naturale è l’Oasi Zegna, creata a partire da un singolo albero piantato nel 1929, quando la sostenibilità aveva tutto un altro significato primario.
Zegna azienda che produce capi di abbigliamento di lusso responsabile, nasce a Trivero all’inizio del 1900, ed è oggi un punto fermo per l’industria della moda e dell’artigianalità Made in Italy.
Cosa ci racconta il Case Study di Zegna? 5 punti per riassumere
- La visione a lungo termine ripaga in termini sia economici sia di vantaggio temporale sui cambiamenti legislativi che sociali.
- Quando i valori sono integrati nel business si crea un posizionamento unico e determinante sotto più fattori.
- La filiera trasparente e la responsabilità sociale sono importanti per ogni azienda, ma diventano imprescindibili soprattutto per alcuni settori, ad esempio il tessile.
- La sostenibilità è una forte leva di comunicazione, soprattutto se la contestualizziamo nelle azioni fatte da Zegna. E qui siamo proprio agli antipodi con il greenwashing.
- Innovazione e tradizione portano al successo a lungo termine anche in ambiti molto diversi (produzione e sostenibilità).
Ora chiediti…
Sapendo che sarà inevitabile, ha senso aspettare di avere l’imposizione dall’alto? Non ti viene un po’ di voglia di ridare qualcosa creato da te al tuo territorio? Come posso far evolvere la mia azienda verso un’anima più sostenibile, senza che venga snaturata?
Tocca a solo a te!
Lascia le tue risposte e il tuo punto di vista nei commenti, oppure se vuoi parlarne in maniera più approfondita, scrivici via mail per un faccia a faccia!